
Capire la Trieste di oggi attraverso gli occhi e i racconti di un bambino del 1954, l'anno in cui la città ritorna all’Italia dopo anni di governo alleato. È una delle chiavi di lettura di "Infanzia triestina", il nuovo libro di Pierluigi Sabatti, giornalista del Piccolo e attualmente presidente del Circolo della stampa di Trieste, che propone il racconto del 26 ottobre 1954, giornata in cui un’enorme folla, nonostante il tempo inclemente e il freddo, aveva atteso in piazza Unità l’arrivo delle navi e dei bersaglieri italiani.
Il libro, che sarà presentato domenica prossima a Ronchi dei Legionari nell’ambito dell’XI edizione del Festival del Giornalismo, è giunto alla seconda edizione, pubblicata in aprile, in una versione però ampliata, e propone una visione di Trieste in anni a dir poco complessi, spesso ignorati dal resto del Paese, che hanno portato a scontri laceranti, ma anche alla formazione di una cultura unica, risultato della convivenza di differenti comunità.
Come ti è venuta l’idea di raccontare quella Trieste, quella giornata a Trieste, attraverso la vita di un bambino?

“Ma l'idea mi è venuta quando c’è stato il cinquantenario del ritorno di Trieste all'Italia, o dell'Italia a Trieste: pensavo a come raccontare una cosa del genere, se n'era parlato al giornale, i soliti servizi, i testimoni, eccetera. Però come si può raccontare il sentimento? Lo storico può fare un bellissimo lavoro di raccolta di fonti e testimonianze, ma il sentimento come lo racconti? Cosa sentiva la gente in quel momento? Allora, pensandoci su, mi è venuto in mente un episodio familiare che accadde proprio quel giorno. Io avevo quattro anni, sono di famiglia mista ed ero stato lasciato a casa dalle zie slovene, perché c'era un tempo tremendo, bora, pioggia, e io ero un bambino abbastanza delicato. Mi lamentavo, chiedevo dove fossero mamma e papà, e una delle zie mi disse “xe andai a veder il carneval". Quando chiesi ai miei genitori come fosse stato il carnevale, ci fu una discussione piuttosto accesa tra mio papà e una di queste zie, che era una nazionalista slovena (aveva tutte le ragioni per esserlo, perché aveva avuto un fratello ucciso dai fascisti proprio davanti a casa a alla moglie incinta)”.
“Da lì poi sono andato a ritrovare tutta una serie di episodi che mi avevano raccontato, e ho cercato di dare un quadro della città, presuntuoso, è vero, che ne delineasse tutte le sue caratteristiche etniche, sociali, culturali in quel momento storico. Poi ho strutturato tutto il racconto in una giornata sola, e immediatamente quelli ‘colti’ hanno detto ‘ti sei rifatto a Joyce’, perché il famoso ‘Ulisse’ si svolge in un giorno solo. Non ci pensavo al momento, ma in effetti anche il mio libro è strutturato in una sola giornata".
“La prima edizione aveva un altro titolo, ‘Autunno a Trieste’ e non comprendeva una seconda parte, inserita nella seconda edizione, che parla di Osimo, perché, curiosamente, se nel 2024 sono stati i settant'anni dall'arrivo dell'Italia a Trieste, nel 2025 sono 50 anni da Osimo, un passo che chiude il cerchio con la stabilizzazione, in qualche modo, di Trieste, che finalmente sa che rimarrà italiana, che non finirà da altri, ma sa anche che non ci sarà neanche il territorio libero, e all'epoca ci credevano al territorio libero. Dopodiché, sappiamo che cosa Osimo ha comportato, ma ci vorrebbe un altro libro".
"Oggi però Trieste sta finalmente godendo di quello che è stato avviato con il Trattato di Osimo, che è stato un trattato coraggioso, molto criticato in città, da una certa città, e anche da una certa destra italiana, mentre invece, devo dire, non era stata felicissima la scelta della zona Franca industriale sul Carso, anche se aveva una sua ragion d'essere, ma è stata il pretesto per respingere tutto il resto del Trattato. Osimo però è stato importante, perché si sono ristabiliti i rapporti tra le due comunità e sono diventati molto più civili, fino ad arrivare oggi alla restituzione del Narodni dom, e o alla settimana della cultura slovena organizzata in pieno centro. Sono cose che uno vent'anni fa non immaginava, eppure c'è stato questo processo. Certamente c'è ancora da fare, anche per la conoscenza dello sloveno, per esempio, nella comunità maggioritaria italiana".
Secondo te può essere anche un libro che fa capire, a chi non vive qui, com'è questa città?
“È la cosa che mi hanno chiesto di fare i miei editori, Bottega Errante, che, non essendo di Trieste, sono di Udine, mi hanno detto ‘il tuo libro è interessante, noi lo ripubblichiamo volentieri, però va adeguato a un pubblico che non sia solo triestino’. Io l'ho fatto, aggiungendo quel capitolo che ti dicevo, che chiude un po’ il cerchio storico con Osimo, ampliando certe parti all'interno del vecchio testo, per esempio sul cinema che è un capitolo interessante nella Trieste di quell'epoca, e mettendoci un glossarietto, perché ho usato un po’ il dialetto”.
Hai citato questo parallelismo con Joyce, con un libro che si svolge una sola giornata, però io leggendolo ho colto anche una grande modernità, se posso dire: sembra un film, flashback compresi…
“È vero, tanto che poi, quando da quel libro ho tratto una commedia, mi è stato abbastanza facile, perché, come dice mia moglie, che mi sopporta ma soprattutto è una persona molto colta e sa di cinema e di teatro, sono capace di scrivere bene i colloqui e le conversazioni. Sarà stato per questo?”
Alessandro Martegani